Giacomo era un bambino di cinque anni che nacque a Fiorenza, l’odierna Firenze, nel 1525 durante gli anni della Repubblica Fiorentina. Crebbe forte e sano, rampollo di una nobile famiglia fiorentina che oltre ad avere case e palazzi in città possedeva anche una villa sopra le colline di Careggi. I suoi avi erano giunti a Fiorenza dall’alto Mugello dopo aver varcato qualche secolo prima probabilmente le montagne della Romagna. Erano abili mercanti e avevano fatto fortuna col commercio di stoffe. Il piccolo Giacomo negli anni spensierati della sua infanzia però si era ritrovato in un lampo a dover fare presto i conti con la durezza della vita.
Dopo poco aver compiuto i 4 anni si ritrovò in prima persona a vivere i terribili momenti dell’ assedio di Firenze iniziato il 24 Ottobre del 1529. Fu costretto insieme ai suoi familiari a dover lasciare in fretta e furia la villa di Careggi dove prediligevano abitare. Il rischio era grosso con gli assedianti sparsi per tutte le colline sopra Firenze e il babbo di nobile blasone, aveva l’onere e il dovere di difendere la sua Fiorenza, capitano dell’esercito fiorentino prima che abile mercante. Giacomo aveva però qualche amico in città dentro le mura e l’insolito di quella situazione in qualche modo lo affascinava. Con lui sempre al fianco c’era la sua migliore amica, la sua sorellina Fiorenza di nove anni che non a caso portava il nome della sua città; sempre pronta con lui a combinar marachelle nonostante la durezza e le privazioni di quei giorni drammatici. Fiorenza per lui era una mamma aggiuntiva e gli insegnava di tutto, lui ne era affascinato, pendeva dalle sue labbra e cercava sempre di emularla in ogni azione.
Fiorenza era spesso protettiva col fratellino ma questo non impediva a Giacomo di avere una propria indipendenza. Lei stessa forte del suo insegnamento ricevuto dal suo precettore gli aveva insegnato a scrivere i numeri da uno a dieci, il suo nome e una frase che spesso sentiva gridare per le vie della città in manifestazioni ufficiali: “Viva Fiorenza!”.
Abitare a Firenze non era poi così male per entrambi, anche se la mancanza di cibo si faceva sentire, in campagna non sarebbe mai successo, bastava uscire nei campi e trovare un bell’albero da frutto da poter ripulire, lasciando quante più foglie possibile e andando via magari con il mal di pancia dopo la scorpacciata. Per bere c’erano centinaia di ruscelli dai quali attingere acqua freschissima e prendere qualche bella trota con le mani sarebbe stato un bel pranzo o un’ottima cena. Il latte poi non mancava mai e grazie alle frequenti battute di caccia spesso la selvaggina e i banchetti erano all’ordine del giorno. La vita in città trascorreva lenta tra un’angoscia diffusa e un’attesa febbrile di rifornimenti e viveri. Nonostante tutte le numerose privazioni a Firenze si cercava di divertirsi ugualmente cercando magari anche di esorcizzare il pericolo delle frequenti bordate, che gli assedianti con le loro artiglierie spavaldi e arroganti riversavano sulla città.
I giochi e gli svaghi per i bambini erano tanti e la cosa più bella era quella di scappare dalla supervisione degli adulti, andando in pieno giorno ad esplorare strade, vicoli e antri nascosti della città. Erano luoghi pericolosi un tempo, ma l’assedio aveva trasformato anche le vie più buie, i tempi erano davvero duri per chiunque e tutti s’aiutavano volendosi bene e lasciando da parte i rancori quotidiani che a Firenze da sempre generavano fazioni. Le ore per i bambini e i ragazzi passavano liete e con pochi pensieri se non quello della fame ricorrente, ma tutto sembrava un grande teatro contornato da frenetiche azioni quotidiane di una vita calma ma dominata dal sottile spettro dell’angoscia. Un’ angoscia che adulti e vecchi con la loro pazienza e saggezza cercavano di nascondere al meglio in ogni momento per non far pesare la situazione ai bambini.
I bambini nonostante gli sforzi profusi dagli anziani avvisavano il pericolo, l’angoscia e tutte le loro incertezze per il futuro, un futuro segnato già da una fine che prima o poi sarebbe arrivata. Ma ogni fiorentino in cuor suo non ci pensava e si godeva la sua libertà, conquistata con tanta fatica e con l’imperativo di doverla difendere.
Un giorno di Febbraio con gli echi del carnevale Giacomo e Fiorenza s’accorsero di uno strano fervore tra gli adulti. In città aleggiava una strana aria mista tra gioia, soddisfazione e speranza, che fosse finito l’assedio? Si domandarono i piccoli, e il pensiero volò subito verso la villa sulle colline di Careggi. Non era proprio così, ma l’aria che si respirava infondeva anche un grande orgoglio in ognuno degli assediati e la situazione sembrava dovesse cambiare da un momento all’altro. Con la curiosità e il fascino della scoperta misti al gusto del proibito, i due vennero a conoscenza di un’imminente riunione. Così Fiorenza convinse Giacomo a seguirlo e senza farsi notare, cosa che fu facile vista la concitazione del momento, i due bambini eludendo la sorveglianza degli adulti riuscirono ad intrufolarsi nel palazzo dei priori dove si era riunito il consiglio della città. Li vi era tutto l’alto rango e i condottieri di Fiorenza riuniti in un brusio assordante.
I due bambini erano riusciti a salire in una sorta di piccolo ballatoio che sovrastava la sala della riunione e nascosti da delle pesanti tende riuscivano a udire tutti i discorsi senza farsi notare. Nonostante l’aria fosse poca e respirare piano per non farsi sentire non era facile, il calore delle tende rendeva quasi piacevole lo star li fermi senza fare il minimo rumore per non essere scoperti. Poi c’era il gusto del proibito e i due pensavano anche a quello che avrebbero raccontato agli altri amichetti una volta usciti, sarebbero diventati degli eroi e questo gli appagava di tutto. A un tratto videro anche la figura del loro babbo che sembrava quasi gli avesse scoperti, lo sguardo del genitore si posò sulla tenda leggermente rigonfia e i due ebbero un sussulto, stavolta dovevano anche riuscire a non ridere. Subito però un alto funzionario prese il babbo sottobraccio portandolo distante da loro e i fratellini rimasero nascosti intenti a trattenere i singhiozzi e gli spasmi nel trattenere il riso. Ad un tratto il brusio smise di colpo, si udirono tre colpi secchi su un tavolo, segnale che la riunione stava per iniziare. Ci fu un alto funzionario che prese la parola, Giacomo e Fiorenza non lo conoscevano e non sapevano che carica rivestisse, ma non importava, contava solo sapere che cosa avrebbe detto e quello che sarebbe stato deciso. Giudicando dalle grandi vesti doveva essere molto importante e forse il babbo lo aveva spesso rammentato a cena.
La riunione iniziò quasi subito dopo che l’uomo dalle grandi vesti iniziò a parlare. Il discorso dopo una breve introduzione entrò nel vivo e s’iniziò a discutere sul dover creare un’azione importante che avrebbe creato grande scompiglio e confusione nel nemico. Non si pensò direttamente ad una sortita militare, avrebbe creato troppi rischi e decimato ancor di più quel poco che restava dell’ esercito della repubblica dopo la tremenda sconfitta di Gavinana. Per di più gli uomini serviano per difendere la città ed abbassare la guardia sarebbe stata un’azione troppo scellerata. Ci voleva qualcosa di solenne e di fiero che avrebbe dato lustro e importanza alla città. Serviva qualcosa che avrebbe dovuto deridere e sbeffeggiare il nemico, un schiaffo morale vibrato da mano nobile e invisibile che avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia.
Un’azione che sarebbe rimasta attraverso i secoli e Firenze ne avrebbe fatto sfoggio, vanto e gloria, doveva essere di monito ai despoti medicei determinati a rientrare al potere in città con la forza, uno smacco pronto a destare scandalo e stupore al tempo stesso. La situazione si fa interessante pensò Giacomo da dietro la tenda e Fiorenza con lo sguardo parve leggergli quel pensiero nella mente.
Il brusio e il chiacchiericcio si faceva sempre più assordante finchè l’uomo dalle larghe vesti, così lo avevano identificato i bambini dietro la tenda, battè forte sul tavolo e in un secondo tutte le chiacchiere cessarono di colpo. L’uomo prese la parola e s’iniziò a vagliare alcune proposte. Una però apparve da subito la più sensata e quella che più avrebbe fatto parlare di se, quella che avrebbe dato uno schiaffo morale al nemico, un gesto spavaldo e irriverente verso i vecchi padron dispotici ormai ad un passo dal tornare in città imponendo le proprie leggi opprimenti. Venne subito presa in considerazione l’ipotesi di organizzare una partita di calcio in livrea, per farsi beffa del nemico e di tutte le privazioni che il popolo andava subendo. Si decise che in palio venisse messa una vitella, forse l’ultima rimasta in città, in grado di sfamare diverse persone e tenuta così di conto per i tempi più difficili. Pochi si sentirono di opinare sulla decisione presa , tutto ciò sarebbe servito a farsi beffe dell’oppressore e avrebbe fatto salir la rabbia ai Medici così gelosi del loro calcio tanto da proibirne il giuoco per le strade della città. Era la soluzione migliore si pensò e viste anche le tante privazioni tanto valeva anche cibarsi di quel poco che era rimasto. Se Fiorenza avesse ceduto all’assedio, probabilmente molti dei viveri sarebbero andati in mano ai nemici. Così si decise, era poi il periodo giusto, quello del carnevale, che portava con se allegrie e divertimenti nonostante i momenti difficili e per tradizione era uso giocare al calcio in livrea. Si farà una partita di calcio in livrea, per far di scherno il nemico e di te magnifica Fiorenza! Una sfida di cui non si saprà mai il punteggio e mai dovrà essere riportato dalle cronache, perché quel giorno non vincerà un singolo o una singola squadra ma tutta Fiorenza! Vincerà la nostra libertà vincerà e resterà eterna nei secoli! E con queste parole la riunione si sciolse tra grida di giubilo e grandi sorrisi uniti a belle pacche sulle spalle e grandi abbracci. Ormai era deciso e nuovamente Firenze s’apprestava a dare una lezione di libertà al mondo intero che sarebbe rimasta scritta eterna nei secoli. Così dopo che quasi tutti ebbero abbandonato la sala adesso veniva il difficile per i due bambini. Uscire dal palazzo senza farsi notare dagli inservienti e rincasare senza dare sospetti, facendo finta magari di esser stati a giocare dintorno casa. I due bambini attesero il momento propizio per poter rincasare senza essere visti e col favore della sera riuscirono senza farsi scoprire a rientrare senza destare sospetti.
Con un gesto appena fuori dal palazzo Fiorenza fece cenno al fratellino di seguirla, che senza pensarci su due volte obbedì. Sempre con l’aiuto indiretto della confusione del momento che si era generata nelle strade dopo la riunione, i due riuscirono a trovare un viottolo nascosto e di passo svelto con indifferenza s’avviarono trotterellando verso una piccola finestrella bassa che stava sempre aperta per far passare aria. Da li solo un bambino sarebbe riuscito a passarvi attraverso. Sbucarono da un vicolo e si fermarono a studiare la situazione. In breve raggiunsero la piccola finestra parte di una cantina nel sottosuolo. Nel calarsi giù dal pertugio non furono però troppo silenziosi e ricaddero su una piccola catasta di legna messa li forse anche per fare da segnale contro eventuali intrusioni. Il rumore mise in allarme gli altri componenti della famiglia rimasti in casa, ma Fiorenza agì d’astuzia imitando con la sua vocina il miagolio di un gatto. Così l’allarme rientrò e dopo aver atteso qualche minuto i due riuscirono a tornare in casa entrando nella grande stanza del camino fortunatamente deserta così riuscirono a non dover spiegare niente a nessuno.
Passarono un paio di giorni e tutto girava intorno ai preparativi della partita, si facevano accordi e si decideva chi dovesse giocare, in quale squadra non era un problema, bastava appartenere al proprio quartiere senza confondersi. Arrivò così il gran giorno della partita, furono attimi molto concitati quegli che precedettero l’inizio della gara. Tutta la gente seppur sotto assedio con tanta paura addosso, giunse al campo nella Piazza di Santa Croce per dare smacco al nemico. Sul tetto della basilica un gruppo di musici con le loro chiarine davano la carica a suon di squilli e quando il nemico provò con arroganza a farle tacere con un colpo di bombarda, quest’ultimo schivò il tetto e cadde in una zona senza far danno, facendo gridare al miracolo la folla presente. Giacomo e Fiorenza riuscirono a sbucare tra la folla e prendere posto ai lati del campo. Bianchi e Verdi si sfidavano senza risparmio alcuno di energie, in un gran polverone con azioni di coraggio e valore volte a segnare la “caccia”.
Giacomo di sua iniziativa senza rendersene conto fece quello che nessuno volutamente e per imposizione quel giorno fece. Tenne il conto delle caccie e non avendo carta e inchiostro per scriverlo decise d’inciderlo su un sasso aiutandosi con la punta di un vecchio pugnale rugginoso trovato tra la folla quel giorno caduto forse a qualche soldato nelle fasi concitate della partita. Ci vollero due o tre giorni perché le sue manine riuscissero ad incidere con decisione sulla pietra “VIVA FIORENZA” e il punteggio.
Giorni in cui cercava di nascondere l’operato anche dagli occhi della sorellina riuscendoci. Così il giorno in cui terminò l’opera decise che era giunto il momento di dirlo solo a lei a Fiorenza la sua sorellina che sicuramente ne avrebbe fatto segreto assoluto. Adesso però veniva il bello, dove nascondere quel sasso senza che nessuno lo trovasse o ne venisse a conoscenza? Se fosse stato trovato sicuramente non gliel’avrebbero fatta passar liscia e siccome era deciso che il punteggio non doveva essere reso noto, il sasso probabilmente sarebbe stato frantumato in mille pezzi, tanto lavoro per niente, pensò. Stavolta neanche Fiorenza aveva una soluzione su che fare del sasso, così Giacomo pensò. Decise che l’Arno suo fedele amico gli avrebbe dato l’ispirazione giusta su cosa fare. I due fratellini un pomeriggio sgattaiolarono verso il fiume amico e dal Ponte Vecchio Giacomo contemplando e ascoltando il rumore scrosciante dell’acqua, come la voce di un vecchio saggio trovò l’idea che gli mancava. Decise che avrebbe sotterrato il sasso col punteggio nella Piazza di Santa Croce e così fece.
La notte stessa con Fiorenza già d’accordo, i due sgattaiolarono come loro solito fare nel buio della notte e si diressero verso la piazza. Una volta arrivati giunsero quasi al centro, ancora il campo risuonava degli echi della sfida e veloci con le loro manine iniziarono a scavare nella terra ancora smossa. Scavarono così forte che la buca venne proprio bene, larga e profonda quanto bastava per nascondere il sasso. Giacomo e Fiorenza guardarono la pietra con un po’ di tristezza, come quando si dice addio ad un vecchio amico. Coi lacrimoni agli occhi e tanta malinconia rivolta anche a un futuro prossimo molto incerto abbandonarono la pietra ricoprendola, non senza prima averle dato insieme un bacio d’affetto e di speranza. Il punteggio rimane a noi finora sconosciuto e la storia raccontata può darsi che sia vera oppure inventata. Chissà se davvero quel giorno qualcuno abbia annotato quel punteggio contro ogni regola ed ogni volere, inorgoglito se mai dalla semplice voglia di vincere.
Chissà se quel punteggio sia mai stato ritrovato a distanza di secoli scritto da mani ignote su un sasso e magari distrutto. Oppure tenuto nascosto ancora per altre migliaia di anni. Resta il fatto che il dubbio e l’ignoto su quel risultato restano ancora nei secoli.
Quel che rimane però è la consapevolezza che quel giorno l’unico vincitore è stata la libertà non solo dei fiorentini ma di tutti i popoli, perché da quel giorno si è iniziato a parlare di lei, leggiadra Madonna Libertà.