Il modello portoghese.
L’Italia dovrebbe seriamente prendere in considerazione il modello portoghese come guida per la sua politica fiscale, soprattutto alla luce degli impegni con l’Unione Europea dal 2027. Questi impegni richiedono una riduzione annuale del debito pubblico del 1%, un obiettivo ambizioso considerando che il rapporto debito/PIL attuale è del 130%.
In un contesto finanziario già precario, con l’Italia sotto pressione a causa di decisioni passate, come lo scellerato spreco del Superbonus edilizio del 110%, che ha comportato uno spreco di 150 miliardi di euro, c’è il rischio che il paese attiri l’attenzione e possa essere soggetto ad indagini da parte della Commissione Europea per infrazione, se non vengono intraprese azioni concrete per migliorare la sostenibilità del debito pubblico.
In questo scenario, l’esempio del Portogallo diventa ancora più rilevante, offrendo un modello da seguire per ridurre il debito pubblico attraverso riforme strutturali e una gestione finanziaria responsabile. L’Italia dovrebbe quindi adottare politiche economiche che favoriscano la crescita sostenibile e la riduzione del debito, evitando sprechi e decisioni finanziarie imprudenti.
Ma mentre la ricerca della crescita sostenibile dovrebbe essere lasciata al mercato, alle imprese e al mondo del lavoro, la politica dovrebbe limitare banalmente se stessa, impedendo anche, ove necessario per legge, di disporre liberamente del sacrificio dei contribuenti inserendo ad esempio l’obbligo di una maggioranza qualificata dei 2/3 di entrambe le camere per poter finanziare qualsiasi tipo di sovvenzione o bonus edilizio, sedie a rotelle, monopattini o auto elettriche che siano.
Altrimenti è chiaro come l’iceberg del Titanic che, con le nuove regole del Patto di stabilità e crescita, recentemente concordate, impongono ai paesi con un rapporto debito/PIL superiore al 90%, come l’Italia, di ridurre il deficit al livello dell’1,5%, meno del 3% fissato a Maastricht. Noi ci stiamo andando a sbattere a tutta velocità. Inoltre, i nostri amati cittadini eletti devono ridurre il disavanzo annuo dello 0,4% del PIL, con una possibilità di deviazione dalla spesa massima annuale dello 0,3% e cumulativa dello 0,6% nel periodo in esame.
I paesi soggetti alla procedura dovranno concordare l’uso dei fondi pubblici con la Commissione Europea, rispettando i percorsi di miglioramento dei conti e di aggiustamento del debito pubblico. I piani di spesa sono quadriennali, ma possono essere estesi a sette anni con flessibilità, tenendo conto degli sforzi di investimento e riforma. Queste nuove regole devono essere approvate dall’Eurocamera entro aprile 2024.
A questo punto, l’Italia deve riflettere attentamente sulle sfide e gli obblighi finanziari che si trovano di fronte e adottare un approccio responsabile e mirato alla riduzione del debito pubblico, prendendo spunto dall’esempio del Portogallo e rispettando gli accordi con l’Unione Europea.
Oppure possiamo già profetizzare che dalle file dell’opposizione o da alcuni scranni del governo, già nei prossimi anni, torneremo a sentire le voci dei NO EURO, sopite solo nel periodo COVID quando era chiaro anche a loro che senza Europa ed euro, l’Italia e i cittadini sarebbero morti per stenti più che per COVID. Ma si sa, fatta la grazia, gabbato lo santo e già adesso da parte di insospettabili politici che in realtà sono sempre stati pragmatici e realistici, si alzano voci preoccupate per le condizioni economiche di molte imprese edili già in crisi dopo la fine del Superbonus 110%, che è bene rammentare si è prestato al record di truffe di 11 miliardi di euro fino ad ora accertati e che, oltre ad aver risolto ben poco, è stato utile solo all’assalto alla diligenza e molte di quelle imprese, spesso improvvisate, quando addirittura non erano fantasmi, si sono vaporizzate. Purtroppo a farne le spese di un mercato drogato dal sistema ci sono anche imprese virtuose, ma sicuramente queste troveranno il modo di adeguarsi al nuovo mercato dove si spera possa esserci anche un nuovo adeguamento dei costi del materiale edile, anche questo fattore da non sottovalutare.
Non occorre che i politici giochino ad inventare o cercare soluzioni economiche perché le cose possano migliorare; dovrebbero umilmente seguire l’esempio dei colleghi portoghesi.