Psicosomatica: il corpo come espressione dell’anima tra segno e simbolo

ByMargarida Ferreira Rodrigues

Settembre 16, 2024

Articolo a cura del Dott. Gianmario Governato

Diceva Paracelso, medico e alchimista dell’epoca rinascimentale, che la “medicina migliore per l’uomo è l’uomo stesso”. La medicina odierna, rispetta questo tipo di pensiero? Oggi si parla molto di “Olismo”, di unità mente e corpo, ma siamo davvero sicuri che questo concetto si traduca poi in un atteggiamento terapeutico veramente di insieme nei confronti dell’individuo? 

C’è la conoscenza scientifica, che è un sapere di superficie, basato sulle leggi di causa-effetto e di spazio-tempo, il “sapere” che divide, separa, sperimenta, misura ogni cosa, il “sapere” che pretende di capire e razionalizzare tutto, che si attiene alla logica dell’Io e che in medicina si traduce nell’uso del farmaco chimico, teso essenzialmente a combattere e a sopprimere sintomi e disagi. 

C’è una conoscenza antica quanto il mondo, un sapere innato, nascosto, silenzioso, un sapere profondo e misterioso, che si muove su un piano prettamente energetico, che si basa sulle leggi dell’anima, che non sono nient’altro che le leggi della natura che ci circonda. Un sapere che fa affidamento alle cosiddette “terapie del sottile”, quali ad esempio l’uso del farmaco omeopatico, per i più considerato “acqua fresca”, perché lontano dal mondo della sperimentazione scientifica e dall’obiettività a tutti i costi, ma dalle tradizioni più antiche, considerato una vera e propria “essenza”, capace di interagire con l’essenza dell’individuo, un vero e proprio “farmaco dell’anima”, capace di trasformare il disagio in benessere fisico, psichico, emozionale e spirituale senza mascherare o cancellare i sintomi. 

Allora esistono altri modi di fare terapia, altre medicine che considerano mente e corpo come due entità inseparabili, in cui il disturbo diventa la voce di un malessere profondo e si traduce in un linguaggio corporeo, ora digestivo, ora respiratorio, ora cutaneo, ora cardiaco, come se il corpo fosse il palcoscenico di un teatro dove la nostra interiorità (il “Sé, il “sapere innato”, l”anima”) sceglie l’organo che, come primo attore, meglio interpreta, meglio racconta quell’emozione nascosta, quella tensione, quel disagio che diversamente non sa esprimere. 

Ragionare secondo i dettami della “Tradizione”, a cui si rifà la medicina psicosomatica, significa essenzialmente dare un senso alla malattia e alla sofferenza e pensare che esista dentro di noi un’intelligenza innata, una forza vitale, capace di risanare il corpo e la mente. In fondo il nostro corpo è una materia intelligente capace di un linguaggio particolare e che quando parla non può che esprimersi attraverso sintomi, disagi e malattie. 

Assistiamo, da un lato al progresso della scienza, basato su una tecnologia sempre più raffinata, dall’altro lato, alla crescente incidenza della patologia cronico-degenerativa, in una sorta di schizofrenia, di frattura tra la ricerca scientifica e la reale felicità dell’essere umano. Insomma siamo sempre più evoluti tecnologicamente ma siamo sempre più infelici e carichi di disagi.

Siamo all’interno di una visione troppo razionale e scientifica del malato, dove regna incontrastato il dogma dell’obiettività, dove il medico, di fronte al paziente, non viene invitato a valutare ciò che sente e ciò che percepisce con l’ascolto, ma attraverso gli esami di laboratorio e le indagini strumentali, viene allenato a rendere obiettivo il più possibile ciò che osserva. Tutto deve essere assolutamente dimostrabile attraverso parametri e numeri e così rischiamo di diventare un numero in una corsia d’ospedale.

Con la svalutazione del “soggettivo”, si perdono di vista quelle caratteristiche espresse dallo stato emotivo, dall’atteggiamento, dal comportamento, dalla mimica, dalle espressioni verbali, dalle sensazioni e dai sogni. In una parola si perde di vista l’atteggiamento mentale del paziente nella sua totalità. 

Fortunatamente la fisica quantistica, da Einstein in poi, comincia a darci risposte che esulano dai canoni conosciuti di causa-effetto e di spazio-tempo. E se fosse invece che le malattie, anziché essere considerate il demone, il male contro cui combattere, rappresentassero la formazione di nuovi equilibri, servissero ad esprimere quel malessere che diversamente non sappiamo comunicare, fossero dunque il messaggio della nostra interiorità (anima) che ci induce a riappropriarci della nostra vita e della nostra unicità? 

La malattia non è allora un disturbo casuale in cui ritrovare un colpevole esterno, gli altri, i virus e i batteri, gli eventi del mondo, ma contiene in sé una forte spinta evolutiva, sempre che consapevolmente ci assumiamo la responsabilità di ciò che ci accade.

Dare un senso al disagio significa pensare che esista dentro di noi, come ci insegna la saggezza della tradizione, una “intelligenza innata”, una fonte inesauribile di energia, una forza vitale (come la chiamerebbe l’omeopatia), capace di risanare corpo e mente. 

Ci sono leggi misteriose che ci guidano e alle quali è necessario fare riferimento se vogliamo stare bene. Ciascuno di noi è il frutto visibile di un principio creativo, di una sorgente inesauribile di energia che è questa nostra innata capacità di auto-guarigione.

Diceva un grande egittologo che “noi stiamo male perché abbiamo accettato una mentalità che è in contraddizione con il pensiero della Natura”. In questo consiste il male della nostra epoca, nell’aver perso di vista quei codici, quelle leggi, tanto care alla tradizione di sempre.  Se il corpo è “carne”, siamo di fronte ad una “carne che pensa”. Il malato non è più la vittima di un destino crudele, ma è responsabile del proprio malessere e del proprio benessere.

Allora, solo se ci spostiamo nel mondo dell’analogia e del simbolo, mente e corpo diventano due aspetti di una stessa realtà, uniti dal parametro della sincronicità: ogni volta che viviamo un accadimento corporeo, lo possiamo riconoscere simultaneamente su tutti gli altri piani della nostra esistenza e così, ad esempio, accadrà che uno sfogo cutaneo, magari un herpes, potrà essere puntualmente accompagnato da un sogno in cui un vulcano erompe o da un linguaggio rabbioso e risentito carico di fuoco. Solo nella metafora e nel simbolo, solo nel mondo dell’immaginario che vive in noi, mente e corpo sono le due facce della stessa medaglia. 

È dunque il corpo a farsi carico di rappresentare quelle sensazioni, quelle emozioni che diversamente non sappiamo esprimere. Il corpo diventa linguaggio e attraverso i disturbi esprime il nostro malessere interiore. Il disagio, la malattia, sono spesso la voce della nostra anima, della nostra guida interiore, del nostro navigatore interno, del nostro Sé, che ci richiamano a seguire la nostra vera strada, ci indicano, come dei segnali, quella che è la via che più ci appartiene.

La “psicosomatica” ci insegna che per la medicina ufficiale, per la maggior parte di noi, la “salute” significa soltanto “assenza di sintomi e di malattie”.
Non dovremmo invece avvertire qualcosa in più che esula dalla mera considerazione che non siamo malati? E se “esser sani” riguardasse invece una condizione più allargata in cui siano soprattutto coinvolti lo stato mentale ed emotivo? Uno stato dell’essere che ci regala gioia e vitalità, creatività ed energia? 

La vita la vogliamo solo spiegare, capire come se fosse soltanto una formula matematica, la vogliamo sempre “controllare” e così facendo rischiamo di perdere il contatto con la vera essenza di noi stessi, con quella parte “dell’anima” che ci guida, ne perdiamo il senso “magico” e così ci sfuggono quei codici indispensabili ad una comprensione olistica del nostro essere al mondo. 

So bene quanto parlare di “energia” e di “anima” possa lasciare perplessi tutti coloro che si affidano esclusivamente alla scienza e alle sue leggi, coloro che fanno della ragione e dell’obiettività sperimentale un credo assoluto e so quanto sia facile essere giudicati “poco scientifici” e poco credibili, ma, un conto è parlare dei codici della scienza, un conto è parlare dei codici dell’anima, qualcosa di sottile e di indecifrabile che ci anima e che costantemente ci crea. 

Non si può indagare il mondo delle energie e dell’anima con i canoni scientifici, la nostra interiorità ragiona per immagini, vive di fantasie, comunica attraverso i sogni, le sensazioni, i sentimenti, le emozioni, che non sono quantificabili, né in laboratorio, né al microscopio.

Ecco allora presentarsi l’opportunità di avvicinarsi al corpo e ai suoi disagi, non solo con l’occhio della ragione, ma anche, e soprattutto, attraverso una chiave di lettura olistica e simbolica, laddove i sintomi e le malattie diventano “linguaggio del corpo”, messaggi diversamente inesprimibili, messaggi portatori di un disagio profondo. 

Guarire davvero, in medicina psicosomatica, è ritrovare la nostra vera natura, ciò che siamo nel profondo. Il disagio, la malattia, sono spesso le voce della nostra anima, della nostra guida interiore, del nostro navigatore interno, del nostro Sé, che ci richiamano a seguire la nostra vera strada, ci indicano , come dei segnali , qual è la via che più ci appartiene, perché ad ognuno di noi spetta la propria strada, il proprio percorso…

Così, ad esempio, le ossa diventano la parte più dura e resistente, la “forma”, la “regola”, il “limite” fino al quale possiamo muoverci.
Così il cuore diventa il centro dei sentimenti e degli affetti, della gioia e del coraggio.

Così il sangue diventa il fuoco sacro che porta la vita in tutto il corpo.

Così la pelle e i polmoni ci parlano dei nostri rapporti col mondo, di comunicazione.
Così l’apparato digerente diventa l’alchimista che tutto trasforma. 

Così il rene diventa il luogo dove si incontrano l’acqua e il fuoco.
Così i capelli rappresentano la forza, l’energia, i legami.

Solo alcuni esempi di come ogni parte del corpo rappresenta un linguaggio, un modo di essere al mondo, un personale, unico stile esistenziale.

Concludendo, è importante comprendere che la malattia diventa la voce della anima, della guida interiore, che ci richiama a seguire la nostra vera natura e, che, stare bene, vuol dire adottare un altro modo di essere. Solo dentro di noi abitano i codici della auto-guarigione ma per contattarli, per permettere loro di svolgere la funzione che li caratterizza, serve che la mente logica dell’Io, almeno ogni tanto si metta da parte.

Dott. Gianmario Governato

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