L’incubo di David

BySimone Margheri

Dicembre 8, 2024

8 dicembre 2024: Il tramonto del regime di Assad ormai dato per fuggito con la famiglia a Teheran e lo scenario incerto del dopoguerra per un paese in guerra da oltre 10 anni.

L’attacco a sorpresa lanciato dal gruppo ribelle Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e da altre milizie sostenute dalla Turchia ha capovolto lo status quo in Siria, portando alla caduta di Damasco e alla fine del potere di Bashar al-Assad. Dopo pochi giorni di combattimenti, i ribelli hanno conquistato Aleppo e abbattuto i simboli del regime nella capitale, incontrando scarsa resistenza sul terreno da parte di un’ esercito regolare ormai evidentemente demotivato e sfibrato da altre di guerra civile, situazione capitolato negli ultimi giorni che ha liberato tutte le fazioni presenti in Siria mettendo Assad in fuga. Fonti locali riportano che il leader siriano sarebbe ora rifugiato a Teheran, protetto dagli alleati iraniani.

Il contesto internazionale e il crollo di Assad

Per anni, Assad si era affidato al sostegno militare della Russia e delle milizie iraniane, inclusi Hezbollah, per mantenere il controllo della Siria. Tuttavia, una combinazione di fattori ha eroso la sua capacità di governare.

Recentemente, Stati Uniti, Israele e gli Emirati Arabi Uniti avevano tentato una mossa diplomatica: offrire aiuti economici e la riduzione delle sanzioni del Caesar Act in cambio di un allontanamento di Damasco dall’Iran. Ma Assad aveva rifiutato ogni compromesso, irrigidendo la sua posizione. Questo, unito al collasso economico (con il 90% della popolazione siriana sotto la soglia di povertà), ha spianato la strada all’avanzata dei ribelli.

La Russia, che ha fornito un sostegno cruciale al regime di Assad, si trova ora in una posizione delicata. La caduta del regime ha messo in discussione il futuro delle basi militari russe sul Mediterraneo. La base navale di Tartus e l’aeroporto di Hmeimim, da cui Mosca proietta la sua influenza nella regione, rappresentano asset strategici vitali per il Cremlino. Il rischio di un attacco diretto da parte dei ribelli potrebbe costringere Mosca a riconsiderare la sua presenza, ma abbandonare queste basi sarebbe un colpo devastante per la geopolitica russa.

La frammentazione della Siria post-Assad

Il Paese si presenta oggi come un mosaico di zone di influenza. Gli Stati Uniti, con circa 900 soldati, continuano a sostenere le Forze Democratiche Siriane (SDF), una coalizione guidata dai curdi che controlla un terzo del territorio siriano nel nord-est. Nel nord-ovest, HTS e le milizie sostenute dalla Turchia detengono il controllo, mentre altre regioni restano sotto l’influenza di Russia e Iran.

La caduta di Assad non risolve il conflitto siriano, ma potrebbe intensificarlo. HTS, pur avendo preso Damasco, rappresenta un gruppo jihadista con ideologie radicali che potrebbero alienare il sostegno internazionale. Inoltre, la Turchia e i curdi rimangono in disaccordo sui confini e sul controllo territoriale, complicando ulteriormente il quadro.

Il rischio di un “Afghanistan 2.0”

La caduta di Assad ha sollevato timori di un nuovo scenario simile a quello afghano. Una Siria frammentata potrebbe trasformarsi in un terreno fertile per la rinascita di gruppi estremisti come l’ISIS. Le rivalità tra potenze regionali potrebbero prolungare il conflitto, e la perdita di un governo centrale potrebbe accelerare il collasso istituzionale.

Israele e Hezbollah, pur essendo avversari, si trovano ora a fronteggiare un nemico comune: l’instabilità e il caos generati dal vuoto di potere.

Un appello per il futuro

La comunità internazionale si trova di fronte a una scelta cruciale: collaborare per stabilizzare la Siria o lasciare che il Paese sprofondi ulteriormente nel conflitto. Gli sforzi di ricostruzione richiedono un approccio inclusivo che coinvolga tutte le parti in causa, incluse le minoranze etniche e religiose.

L’Europa, spesso concentrata solo sulle implicazioni migratorie, deve assumere un ruolo proattivo nel favorire un processo di pace e nella gestione della crisi umanitaria. Tuttavia, una domanda rimane aperta: i russi abbandoneranno il loro avamposto nel Mediterraneo o tenteranno di difenderlo a ogni costo? Per il Cremlino, la perdita di Tartus e Hmeimim sarebbe un duro colpo, simbolo del tramonto della sua influenza nella regione.

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