Congresso nazionale della lega a Firenze – Salvini VS Salvini

BySimone Margheri

Aprile 7, 2025

Nel fine settimana si è tenuto il congresso della Lega a Firenze, un congresso senza dibattito e una strategia che a ben vedere penalizza il Nord produttivo autoliesonisticamente.

Il congresso nazionale della Lega, svoltosi oggi, ha sancito per acclamazione la riconferma di Matteo Salvini alla guida del partito. Un esito atteso, ma che solleva non poche perplessità sullo stato della democrazia interna del movimento fondato da Umberto Bossi. Nessun confronto aperto, nessuna mozione alternativa, e soprattutto nessuna riflessione critica sugli errori strategici e politici che hanno segnato il tracollo del partito negli ultimi anni.

Nel 2019, la Lega era il primo partito d’Italia, con il 34,3% alle elezioni europee. Oggi, secondo gli ultimi sondaggi SWG e Ipsos, oscilla tra l’8% e il 9%, ampiamente superata da Fratelli d’Italia (28–30%) e tallonata anche da Forza Italia. Il declino non è solo numerico, ma anche identitario. Il tradizionale colore verde, simbolo dell’autonomismo padano, è stato abbandonato in favore di un generico blu istituzionale. La denominazione “Lega per Salvini Premier”, mai modificata nonostante le promesse e le voci interne, rafforza un’impostazione verticistica e personalistica che ha progressivamente allontanato storici militanti e amministratori locali.

Unico accenno di dissenso è arrivato dal segretario provinciale di Modena, Stefano Golinelli, che ha parlato di una “fase politica complicata” e della necessità di “un serio esame di coscienza” per capire “perché i consensi continuano a calare”. Ma si è trattato di un’eccezione in un congresso che ha di fatto evitato qualsiasi confronto sul merito.

A pesare ulteriormente sulla linea del partito è il recente appoggio, ribadito in più occasioni, al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e all’ideologia economica protezionista incarnata da figure come Elon Musk. In un’intervista al Corriere della Sera del 15 marzo, Salvini ha dichiarato: “Trump ha ragione sui dazi, dobbiamo proteggere il nostro mercato. Musk rappresenta il futuro”. Ma in un paese come il nostro, a forte vocazione manifatturiera, che da sempre sopravvive grazie all’ esportazione, questa posizione rischia di scontrarsi frontalmente con gli interessi del Nord produttivo, storica base elettorale della Lega.

Secondo dati ISTAT e SACE, il 52% dell’export italiano verso gli Stati Uniti proviene da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna — regioni in cui la Lega ha sempre avuto un forte radicamento. In particolare, le imprese manifatturiere del Nord esportano ogni anno oltre 30 miliardi di euro verso gli USA, con un’alta incidenza nei settori meccanico, moda, chimico-farmaceutico e agroalimentare. Un regime di dazi più rigido, come quello proposto da Trump, colpirebbe direttamente queste filiere, già provate dagli aumenti dei costi energetici e logistici.

Molti osservatori del mondo economico, come il vicepresidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro, hanno lanciato l’allarme: “Sostenere politiche protezioniste oggi significa danneggiare le nostre imprese. Il nostro sistema è forte perché è aperto. In questo momento lunedì 7 le borse asiatiche stanno registrando un -8 all’ apertura questa è una vera sciagura economica a livello mondiale.
E adesso proprio non possiamo certo permetterci di chiuderci in una logica di muri economici” , oltretutto il nostro mercato interno ė rimasto fermo a causa anche degli stipendi europei fermi da oltre venti anni di politiche assistenziali e sussidiarie sostenute in particolare dai governi cinque stelle a cui la lega ha il peccato originario di aver consentito di governare, politiche come RDC e 110% che hanno scaricato il peso della perequazione quasi totalmente sulla parte produttiva del Paese .

A ciò si aggiunge la recente ufficializzazione dell’ingresso nella Lega del generale Roberto Vannacci, quale naturale continuazione di quella che sembra ormai una deriva marcatamente populista della lega, che da indipendente aveva raccolto un ampio consenso trasversale. La sua scelta di aderire al partito potrebbe limitarne l’autonomia e ridurne l’attrattività presso l’elettorato di destra più radicale, che apprezzava proprio la sua distanza dai partiti tradizionali, ma che di fatto la rende la versione cinque stelle a destra e infatti ultimamente in particolare in politica estera le posizioni del partito e del movimento grillino sembrano quasi sovrapponibili entrambi smaccatamente Trumpiani ed entrambi apertamente su posizioni pacifiste molto vicine agli interessi del Cremlino.

In definitiva, la Lega sembra oggi priva di una rotta chiara: chiusa al dissenso interno, lontana dai suoi valori fondativi, e sempre più orientata verso una politica estera e commerciale potenzialmente dannosa per la sua stessa base sociale ed economica. In un momento storico in cui le imprese italiane hanno bisogno di stabilità, apertura e investimenti, la scelta di inseguire modelli esteri ideologicamente affini ma economicamente incompatibili rischia di aggravare il solco tra il partito e il suo elettorato originario.

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