La Sinistra italiana, in fatto di integrazione, guarda il dito ma non vede ciò che questo indica.
In Toscana, nel comune di Incisa Valdarno, una piscina comunale è stata riservata a donne musulmane: questa non è una questione di integrazione, ma una errata interpretazione di diritti costituzionali e uso dei beni pubblici.
La recente decisione della piscina comunale di Figline Valdarno di riservare un’ora settimanale esclusivamente alle donne musulmane ha acceso un dibattito politico e sociale che tocca temi sensibili come la libertà religiosa, l’uguaglianza dei diritti e l’uso dei beni pubblici. Organizzato dalla Uisp Firenze, l’iniziativa nasce per rispondere alle esigenze di un gruppo di cittadine musulmane del Valdarno, ma ha suscitato critiche da vari esponenti politici, in particolare dalla Lega e da Fratelli d’Italia.
Secondo chi si oppone a questa scelta, come la ministra del Turismo Daniela Santanché e il deputato leghista Andrea Barabotti, si tratterebbe di un caso di “discriminazione al contrario”, che viola i principi costituzionali di uguaglianza e di uso universale dei beni pubblici. L’idea di riservare una struttura comunale a un gruppo specifico, basato su criteri religiosi, viene infatti percepita come un atto contrario all’integrazione e all’inclusività. Questo punto di vista trova fondamento negli articoli 3 e 9 della Costituzione italiana.
L’articolo 3 afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. Se un bene pubblico, come una piscina comunale, viene riservato a un gruppo di persone per motivi religiosi, si corre il rischio di discriminare chi non appartiene a quella fede. L’uso dei beni pubblici, per definizione, deve essere accessibile a tutti i cittadini senza distinzioni, garantendo equità di accesso e trattamento. Riservare una parte della giornata a un gruppo esclusivo potrebbe sembrare una violazione di questo principio di uguaglianza. Indipendentemente dalle buone intenzioni, alcuni potrebbero obiettare che si tratta di una sola ora settimanale, ma è proprio la natura pubblica del luogo, creato per tutti a beneficio di tutti, a renderlo fruibile da tutti, a prescindere da sesso e convinzioni religiose. Il problema di fondo, inoltre, è che queste strutture hanno costi di gestione altissimi, e le quote richieste, quando dovute, sono spesso un semplice contributo. Di fatto, l’amministrazione comunale ha deciso di destinare queste risorse a una categoria di persone non per impedimenti fisici o economici, ma per credenze religiose. Ecco che, oltre all’errata interpretazione dell’articolo 3, possiamo ravvedere anche un’altra svista costituzionale: quella dell’articolo 9.
Infatti, l’articolo 9 della Costituzione, che promuove la cultura e la ricerca scientifica e tecnica, si estende anche alla promozione dello sviluppo sociale attraverso l’accesso ai servizi pubblici. L’inclusività, un valore da promuovere, non dovrebbe comportare l’esclusione di altri gruppi dalla fruizione di spazi comuni. La vera integrazione si ottiene attraverso l’apertura e il dialogo, non con la segregazione, seppure temporanea, di spazi riservati.
Chiediamoci cosa accadrebbe se domani anziché di un’ ora dedicata in piscina potesse essere richiesto un pulmino solo per bambini di una certa fede o una classe scolastica di bimbi di una sola fede religiosa.
Le critiche sottolineano che, se il gruppo in questione desidera svolgere attività in un ambiente più privato, potrebbe farlo utilizzando una struttura privata a proprie spese, piuttosto che occupare uno spazio pubblico. L’affitto di una piscina privata per questo scopo non susciterebbe alcun problema, poiché non interferirebbe con il diritto di accesso degli altri cittadini. Una soluzione che garantirebbe il rispetto delle sensibilità religiose, senza però violare il principio di uguaglianza nell’uso dei beni comuni.
Dall’altro lato, chi difende l’iniziativa, come il sindaco Valerio Pianigiani, sostiene che essa rappresenti un passo avanti verso l’inclusione, coinvolgendo gruppi che altrimenti rimarrebbero ai margini della vita sociale. Tuttavia, questa visione rischia di cadere nella contraddizione: separare le persone in base alla loro fede religiosa potrebbe essere interpretato come un’azione che, anziché unire, divide.
Conclusione
In un’Italia che si proclama democratica e laica, è fondamentale che le iniziative pubbliche non creino divisioni e non diano adito a discriminazioni, nemmeno indirette. L’uso di beni pubblici, come le piscine comunali, deve rimanere universale e accessibile a tutti, senza che si facciano eccezioni basate sulla religione o altre caratteristiche personali. Se un gruppo desidera un accesso privato a una struttura, esistono soluzioni che non ledono i diritti di nessuno, come l’affitto di impianti privati.
Questo è il punto centrale: l’inclusività deve essere costruita nel rispetto dei diritti di tutti e delle regole della convivenza civile. In questo caso, la scelta di riservare spazi pubblici a un gruppo esclusivo, anche per un tempo limitato, rischia di infrangere quei principi costituzionali che garantiscono l’uguaglianza e l’uso collettivo dei beni pubblici.
Mi avvio alla conclusione di questa lunga disamina citando un episodio personale da me vissuto in più di un paese musulmano non molto tempo fa, dove ho potuto tranquillamente fruire di piscine e luoghi termali pubblici, dove si può fare il bagno e dove le donne di fede musulmana fanno il bagno tranquillamente con donne e uomini occidentali, nello stesso momento e senza alcun tipo di problema ripeto in paesi di fede mussulmana dove l’ interrogazione non avviene sperando ma condividendo luoghi e risorse nel rispetto reciproco dei propri costumi e usanze. È per questo che, mi chiedo quanto di questa iniziativa non sia in realtà volto a creare un caso di un problema inesistente solo per poter attrarre attenzione mediatica a fini propagandistici.
Termino dicendo che l’integrazione non implica la sottomissione o rinuncia di alcun tipo da nessuna delle parti.