L’ alluvione di casa Biagi
La mia famiglia abitava a Settignano, ed erano contadini, Settignano è stato l’ ultimo podere coltivato da mio nonno, dopo poco si sarebbero trasferiti in città nella zona dello Statuto. A Settignano nella colonica dove abitavano gestivano il podere traendo beneficio dai prodotti agricoli che la terra dava, e dagli animali come vacche, buoi, conigli e polli. Nella stalla c’era presente un affresco di Cimabue, attribuito in seguito e dopo il trasferimento dei Biagi. Sicuramente qualcuno, vedi mio babbo avrà preso ance una partaccia, reo di aver scarabocchiato il muro, nell’ affresco era stato messo anche l’ asta che sosteneva il falcione, rudimentale generatore di corrente elettrica al quale mio babbo ci rimase “attaccato”. La mattina del 4 Novembre del ’66 mia nonna affacciandosi alla finestra che dava su Sant’ Andrea a Rovezzano e guardava Firenze, capì subito che qualcosa di grave era accaduto, infatti non svegliò neanche mio babbo per andare a lavorare, a quel tempo operaio alla fabbrica FE-BA di Serpiolle dove facevano il ferro battuto. Mia zia più sanguigna, lavorava allo Stentatoio, vicino Pontassieve, da Lucaldo dove lavoravano pellami, alzandosi con intraprendenza quasi se la prese con mia nonna perché non aveva svegliato mio babbo, e di gran carriera dopo colazione, senza badare alle raccomandazioni di mia nonna partì con passo spedito per andare prendere il pullman per andare a lavorare. Dopo poco però tornò a casa e dovette desistere, alla fermata dell’ autobus le poche notizie frammentarie che arrivavano parlavano che a Firenze nella notte era andato di fori l’ Arno, e che in città la situazione era drammatica. Ritornata a casa mia nonna era in ansia specie per una mia zia che abitava già a Firenze davanti al cinema Vittoria, che non esiste più, nella zona dello statuto. Le comunicazioni erano interrotte, le notizie non arrivavavno, allora mio zio e mio nonno partirono, con un enorme dose di coraggio a bordo di una Fiat 500 con gli stivali lunghi nel bagagliaio ed arrivarono fino a Via Pagnini, dove però con sorpresa, mista a gioia constatarono che lì l’ acqua non era arrivata e stavano tutti bene. Restava il disagio degli scarsi viveri e dell’ assenza totale di comunicazioni, di acqua corrente e potabile e dell’ energia elettrica. Ricordava mia nonna il grande rumore che faceva l’ acqua, udibile fin da Settignano, un rumore costante e cupo che faceva spavento. Poi sempre nel suo ricordo, larrivo e il lungo passaggio della povera gente di Firenze sfollata che si dirigeva verso le campagne in cerca di quel poco che poteva trovare, da un tetto sicuro dove passare la notte a qualcosa da mangiare, beni primari necessari alla vita d’ ogni giorno.
Elsa Ulivieri
A Pontassieve la situazione non era poi diversa, la famiglia della mia mamma abitava nel Viale Diaz numero 18, dove prima c’ era il vecchio campo da calcio del Pontassieve, ricorda mio zio in una partita giocata tra giovanotti di Pontassieve e di Coverciano fu decretato alla fine un rigore e designato alla battuta della massima punizione il “valigia” un ragazzo un po’ goffo e canzonato al gruppo. Al momento della battuta del tiro dagli undici metri, qualcuno tolse volontariamente la luce al campo e il pallone fu sostituito con un cocomero dipinto come un pallone. Il “Valigia” una volta tornata la luce aggredì con foga il finto pallone calciandolo con decisione verso la porta, ovviamente il pallone si frantumò in mille pezzi, provocando al “Valigia” un bel dolore e la risata fragorosa e generale di tutti i presenti. Proprio in Viale Diaz li sotto passa la Sieve e si tuffa nell’ Arno, quello fu il punto più critico per Pontassieve, dato che l’ Arno non riceveva più le acque affluenti dalla Sieve e quindi tornarono indietro straboccando e allagando tutta la parte bassa del paese vicino alla confluenza dei due fiumi. Racconta mia mamma, erano 4 giorni che pioveva, la sera l’ acqua iniziò a salire e la Sieve cresceva a vista d’ occhio, come mai? Tutti ignari si chiedevano. Era l’ Arno che teneva in “collo” la Sieve. Mio zio andò a mettere la macchina una Fiat 600 su in paese, in “Castello”, lasciando il motorino nell’ andito del palazzo che anche se non fu travolto dalla furia delle acque, rimase sommerso e fu da buttare. Noi stavamo al primo piano e l’ acqua arrivò a venti centimetri dalla soglia di casa nostra, costringendoci ad andare al piano di sopra dalla famiglia Monti. Ricordo che l’ acqua sfondò il bandone del Garage dell’ Albergo dei Viilini e poi allagò il campo sportivo, in pratica eravamo circondati dall’ acqua e ci sentivamo come in mezzo al mare. Successivamente abitammo nella casa della famiglia Monti per una notte, fin quando la mattina dopo le acque si erano un po’ ritirate e riuscì a passare un Camion degli spazzini, con difficoltà visto il fango presente nella strada. Gli spazzini ci presero e ci portarono da alcuni parenti nella parte alta di Pontassieve verso la zona dei cimiteri. Gli appartamenti del pian terreno avevano l’ acqua fino al soffitto, c’erano più di tre metri d’acqua, fortunatamente le persone che vi abitavano avevano fatto in tempo come noi a salire ai piani più alti lasciando però all’ interno delle case tutti i loro averi. Poi una volta ritirate le acque aiutammo queste persone per ripulire le loro case e tornare alla normalità. Ricordo che in quei giorni la mancanza più grossa era quella del gas, dell’ energia elettrica e dell’ acqua. Il cibo non mancava tanto, ma si andava avanti con panini e generi di prima necessità.
Casa Pggiolini Mario Poggiolini
La sera del 3 Novembre ero a lavorare all’ Officina BMN in via Lulli a Firenze in zona Viale Redi, pioveva ininterrottamente da 4 giorni, per tornare a casa, abitavamo in Via del Ponte alle Mosse 21, andai a prendere la macchina, una Fiat 600 usata ma che avevo comprato da poco, che decise di non partire. Dovetti quindi tornare a casa a piedi sotto una fitta pioggia. La sera uscii con degli amici e mia sorella uscimmo per andare a passare una serata in compagnia a giocare a carte in via Faentina. Tornammo che erano le due di notte, passando sopra al Mugnone notammo che era molto grosso con grande portata d’ acqua. Non attraversammo l’ Arno, non essendoci stata la necessità, restammo di qua d’ Arno, quindi non sapevamo a che punto fosse. Tornando verso casa vedevamo le fogne della città che respingevano su l’ acqua sporca di mota. Andammo a letto senza preoccupazioni, la mattina dopo accesi la Radio, dicevano che a Gavinana era andato di fuori l’ Arno, però da noi nella nostra zona ancora l’ acqua non era arrivata. I negozi nonostante fosse stata festa erano aperti per mezza giornata, il fornaio, l’ aringaio (che vendeva solo aringhe e baccalà secco) e altri esercizi stavano ignari intenti nelle loro attività. Poi alle dieci e trenta iniziò ad arrivare l’ acqua, restava sempre l’ aringaio sull’ uscio, e mi domandavo, ma perché non va via? L’ acqua iniziò a salire abbastanza velocemente, alle undici andò via l’ energia elettrica, le macchine in breve furono portate via e tanta merce proveniente dai magazzini passava da lì. In mezz’ ora la strada era diventata un fiume anche l’ aringaio, con l’ acqua fino ai ginocchi rimise in fretta e furia i bidoni di legno con dentro le aringhe nel negozio chiudendo il bandone e andandosene via in fretta verso casa sua che non so dove fosse. Le macchine sollevate dalla forza dell’ acqua andavano a finire dentro lo scavo di un palazzo in costruzione, in un enorme buca. L’ acqua alle tre del pomeriggio arrivò fino al primo piano, per poi iniziare a ritirarsi verso le dieci della notte. Sotto di noi ci stava il pollaiolo, che insieme a sua moglie vennero a stare da noi al secondo piano, portando su dei polli che mangiammo in quei giorni di stenti e fame. I due erano di Campi Bisenzio e il giorno dopo verso mezzogiorno tornarono verso la loro casa. Mancava tutto, acqua, luce,gas, eravamo isolati, e alle 5 faceva buio, s’ andava a letto come le galline, qualche candela giusto per far lume durante la cena. Mia sorella Carla ricorda che mangiammo tantissima carne in scatola, infatti fino ad oggi non ha mai più toccato una Simmenthal. Nei giorni successivi con il ritiro dell’ acqua restava un gran vuoto, tanto fango e tanto sudicio, dovemmo rimboccarci le maniche e iniziare a ripulire, un lavoro faticoso che durò per tanti giorni, in tutta la città e non solo. L’ acqua la portavano con le botti, non essendo più potabile, furono giorni davvero difficili. Due o tre giorni dopo tornai a lavorare, ricordo che dovemmo smontare e ripulire tutte le macchine, piano piano poi ripartimmo. Ritrovai anche la mia 600 alluvionata finita sotto tre metri d’acqua e siccome non avevo ancora neanche pagato le volture la feci ripulire tutta e raccomodare, fui costretto se no sarei dovuto andare a piedi. Fino a Natale restammo col fango e in situazione precaria, poi tutto tornò alla normalità
Nicola Biagi